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Franco RendichDizionarioetimologico comparatodelle lingue classiche indoeuropeeIndoeuropeoSanscrito - Greco - Latino6ª edizioneriveduta e ampliata1

I diritti di riproduzione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzoanalogico o digitale (comprese le copie fotostatiche) sono riservati a norma dilegge e a norma delle convenzioni internazionali per tutti i Paesi.Il nome dell’autore va citato nel caso si renda pubblica in qualsiasi forma unaparte del testo.Le lettere che appaiono in copertina appartengono alla scrittura sanscritaDevanāgarī.2

INDICEPrefazionepag. 5Introduzionepag. 19Breve storia di alcune antiche parole indoeuropee, ovverocenni etimologici sull’origine del pensiero religioso occidentalepag. 37Le radici sanscrite del vocabolario greco della filosofia. pag. 75DIZIONARIOpag. 101Note introduttiveSimboli fonetici e valori semantici del più anticoalfabeto indoeuropeopag. 103Genesi, struttura e sviluppo della prima linguaIndoeuropeapag. 104Radici indoeuropee e metodi ricostruttivi a confrontopag. 109Alfabeto sanscritopag. 111Alfabeto grecopag. 113Alfabeto latinopag. 114Fisiologia del cavo orale dove nascono i suoni e possibili causedelle modificazioni di quelli del sanscrito, del greco e del latinorispetto a quelli della lingua madrepag. 115Radici IndoeuropeeKak khyāpag. 119Gag ghrāpag. 175Cac chidpag. 195Jaj jyudpag. 209Tat tsṛpag. 2333

Dad dhyāpag. 261Nan nṛtpag. 327Pap phṛpag. 353Bbal bhrājpag. 395Mam mṛdpag. 425Yyakṛt yudhpag. 463Rṛ/ar ruhpag. 477Llakṣ lūpag. 521Vav vrajpag. 537Ś, Saś svṛpag. 581Hah hvṛpag. 675Bibliografiapag. 701* L’indoeuropeo, da me chiamato anche protosanscrito, è ricostruitosecondo i valori fonetici e le regole che ho indicato in questo saggio.* * Alcuni termini, per varie ragioni, non rispettano l’ordine che essiseguono nei rispettivi alfabeti.*** Nessuno dei termini sanscriti, greci e latini di questo dizionario èdi origine mesopotamica o comunque semitica. Essi derivano tutti dalprotosanscrito, la lingua “pubblica” e “comune” delle tribùindoeuropee che, alcuni millenni a. C., si videro costrette adabbandonare la loro dimora artica e a migrare verso Sud-Ovest e SudEst (cfr. B. G. Tilak e F. Rendich, op. cit., pagg. 85-118).4

PREFAZIONE5

La composizione di questo dizionario etimologico comparatodelle lingue classiche indoeuropee è stata un’impresa moltoardua. Per di più, pur essendo pienamente convinto del buonrisultato raggiunto, devo ora trovare il coraggio di presentare allettore una ricostruzione delle più antiche radici verbali delsanscrito, del greco e del latino, secondo un metodointerpretativo del tutto nuovo rispetto a quelli seguiti dailinguisti che si sono finora occupati della materia1. Il significatodelle parole non nacque, come si è sempre creduto, in modoastratto e arbitrario, bensì unendo due o più idee-baserappresentate dai suoni2 delle consonanti e delle vocali. Talisuoni, dotati di particolari valori semantici, erano governati daprecise regole associative. In realtà le radici verbali indoeuropeesono strutture logiche, frutto di un ragionamento, e quindi nonsono, come si è pensato finora, costruzioni immaginarieaccettate per pura convenzione. Nel Dizionario mi propongoinoltre di smentire l’idea, storicamente radicata, secondo laquale la vita culturale e civile di noi occidentali abbia avutoorigine con l’opera dei pensatori greci e latini, perché la mente el’anima che ispirarono le nostre parole non venivano dallaGrecia o da Roma, ma da una patria indoeuropea posta moltopiù a nord3. Invero, secondo i miei studi, la storia di noioccidentali non comincia con i Greci. Siamo stati inventati,insieme ai Greci, dai poeti-veggenti vedici tramite la loromadrelingua, il sanscrito, evolutosi nel greco e nel latino, che nesono semplici varianti fonetiche. Secondo le mie ricercheetimologiche infatti, le radici verbali del sanscrito, del greco e1Tra i più eminenti dei quali sono da citare Alois Walde e JuliusPokorny.2Vista l’importanza del ruolo che vi svolgono i suoni, questoDizionario va considerato al tempo stesso come un “Trattato difonetica comparata delle lingue classiche indoeuropee”.3Situata nel Circolo Polare Artico (cfr. B. G. Tilak, La dimora articanei Veda e F. Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, pagg. 85118).6

del latino risalgono al protosanscrito4, una lingua che si eraformata in un’epoca remota, molto prima che alcune tribù dipastori nomadi e di agricoltori5, guidate da caste sacerdotali eguerriere provenienti da una dimora nordica, nel secondomillennio a.C. si stabilissero in Grecia. E molto prima chealcune schiere di militari nordici, invasori in cerca di fortuna(con poche compagne al seguito), anch’essi di origineindoeuropea, intorno al primo millennio a.C. si insediassero nelLazio. Pur destinati a costruire nel corso dei secoli la grandezzadella civiltà greco-romana, questi nuovi arrivati sulle sponde delMediterraneo non conoscevano l’origine della lingua cheparlavano, né ricordavano il vero significato delle loro radiciverbali, e quindi delle parole che pronunciavano. Quelle radiciappartenevano al protosanscrito, l'antica lingua madre degliindoeuropei. Esse, come vedremo, erano rimaste vive ericonoscibili in tutte le loro parole.Allo scopo di spiegare quanto sopra, e cioè che il greco e illatino sono lingue neoprotosanscrite, vediamo ora quale fossenei tempi antichi, in campo etimologico, il grado di conoscenzae lo stato degli studi in India, in Grecia e a Roma.In India, intorno al 600 a.C. (poco prima della nascita diBuddha) il grammatico Yāska compose il trattato dal titoloNighaṇṭu samanvitaṃ niruktam, ossia “Collezione di parole einterpretazione del loro significato”, che possiamo considerarecome il più antico dizionario etimologico della lingua sanscrita,e quindi come il primo dizionario indoeuropeo. Esso contienealcune liste di parole in sanscrito vedico, con i loro sinonimi,che Yāska insegna a ricondurre al significato delle radici verbali4È stata la lingua che, a mio giudizio, per un certo periodo ha segnatola transizione tra l’indoeuropeo e le lingue classiche da esso derivate.Essa si può quindi considerare come la koin di lektos, la “linguacomune” in cui, intorno al V millennio a.C. si fusero tutti i dialettiindoeuropei di quell’epoca. Cfr. V. Pisani, Le lingue indoeuropee,pag. 115 e nota 47.5Dolicocefali biondi, di pelle chiara e dagli occhi cerulei (cfr. Keith,The Religion and Philosophy of the Veda and Upanishads).7

da cui derivano. Le difficoltà che Yāska affronta in questolavoro (e che non sempre vi trovano soluzione), nascevano dalfatto che non tutti i nomi da lui citati, oggetto della sua ricercaetimologica, avevano una corrispondenza nelle radici verbalida lui conosciute. Per molti di questi nomi, infatti, egli ècostretto a cercare il loro significato confrontandoli consinonimi, o riferendosi a radici simili nella forma o che avesseroanche una sola lettera o sillaba in comune. Il grande merito diYāska, comunque, oltre ai buoni risultati ottenuti, fu soprattuttoquello di aver capito che la grande maggioranza dei nomisanscriti derivava da radici verbali, e non viceversa (il metodoinvestigativo da me seguito in questo dizionario fa anch’essoriferimento alle radici verbali, ma si basa sul presupposto che leconsonanti e le vocali - gli elementi che le costituiscono abbiano ciascuna un proprio valore semantico, per cui sarà dallaloro associazione che risulterà il senso ultimo delle radici e deinomi che da esse derivano).Yāska, tuttavia, una volta arrivato davanti alle più antiche radiciverbali del sanscrito (le radici vediche della “conoscenzasacra”), al momento cioè di affrontare il mistero delle loroorigini, si dovette fermare. La sua analisi non poteva procedereoltre perché, secondo la sua religione, esse erano di originedivina. Essendo “Parola e Voce di Dio”, Verità Rivelata, essedovevano restare inaccessibili alla mente umana. NeppurePāṇini, il più eminente grammatico indiano (vissuto poco dopoBuddha, intorno al 400 a.C.), nell’analisi del significatooriginario delle radici dei nomi sanscriti, svolta nelle circa4.000 regole contenute nella sua grammatica, l’Aṣṭādhyāyī,“Meditazioni raccolte in otto libri”, seppe fare di meglio. Eccoinfatti gli esempi di alcune sue proposte etimologiche.Nella regola 3.77 del VI capitolo del testo egli analizza la parolanaga [na ga] “albero”, “montagna”, e dice che il prefisso na èla particella negativa na, “non”. Ergo, na ga per lui significa“non si muove”. Riferita all’albero o alla montagna questainterpretazione del prefisso na appare giusta. Bene. Orachiederei a Pāṇini: nella parola sanscrita nāga “serpentemarino”, come avrebbe interpretato la particella na? Anch’essa8

come una particella privativa, ricostruendo così la parola conna aga “non [na] si muove tortuosamente [aga]”? Penso di sì,posto che nella regola 3.75 del VI capitolo, nel citare i termininakṣatr, “costellazione”; nāsatya, “i gemelli celesti”; e nakra,“alligatore”, egli considera ancora na come la particellaprivativa “non”. Cosicché la traduzione di quei terminirisulterebbe per lui questa: nakṣatra “senza [na] governo[kṣatra]”; nāsatya “non [na] falso [asatya]”; e nakra “non [na]muove i suoi passi [kra è una forma del verbo kram“camminare”]”. Ciò appare assurdo, perché è illogico pensareche nāga significhi “non [na] si muove tortuosamente [ag]”,dato che il moto tortuoso [in sanscrito, ag] è proprio quello chedistingue il serpente marino. In realtà, in tutti questi compostina non è un prefisso negativo, ma significa “acqua”. E alloratutto diventa chiaro: nakṣatra significa “che governa [kṣatra] leAcque cosmiche [na]”; nāsatya significa “la verità [satya] delleAcque cosmiche [nā]” (essi sono gli Aśvinā - nome che derivada aśva, “cavallo” – i due cavalieri che all’alba e al tramontorappresentavano l’incontro in cielo dell’Oceano di acqueluminose del giorno con quello delle acque [nā] scure dellanotte, mostrando così la vera [satya] immagine duale -chiara escura- delle Acque [nā] cosmiche: nāsatya).E così, finalmente, anche le parole nakra e nāga assumono illoro vero significato: “muove i suoi passi [kra] nell’acqua [na]”,“alligatore”, e “si muove tortuosamente [aga] nell’acqua [na]”,“serpente marino”. D’altronde, né Yāska né Pāṇini hanno maimostrato di sapere che il sanscrito, la loro lingua, non era statacreata in India, dove erano nati, ma in una terra posta molto piùa nord, nel circolo polare artico.Ipotesi questa fondata su convincenti indagini astronomiche(vedi Tilak, op. cit. ma anche sul fatto che nel Ṛg-Veda, il testosacro più antico dell’India, fra tutti gli animali indiani citati noncompaiono né vyāghra, la “tigre”, né phaṇaka, il “cobra”, chesono di gran lunga quelli più rappresentativi della fauna indiana.E vi appare invece ṛkṣa, “l’orso polare” (cfr. F. Rendich,L'origine delle lingue indoeuropee, pag. 117). Anche in Greciale scienze che avevano per oggetto la storia delle parole,9

chiamate etymología e sēmainómenon, erano rimaste in granparte oscure. I grammatici greci, infatti, nel costruire ilcomposto etymología, non sapevano che eteós “vero”, edétymos “veramente”, erano antiche trascrizioni della parolasatya “verità” (cfr. as), da sat, “ciò che è”, “essente”, (postoche il “vero”, in indoeuropeo, prende il significato da “ciò cheè”). E neppure sapevano che i termini sēma e semeĩon, “segno,segnale”, da cui sēmainómenon, “semantica”, derivano dallaradice verbale indoeuropea e protosanscrita saj [s aj], “che silega [s] a ciò che si muove dritto in avanti [aj]”, ovvero “essereattaccato a”, “aderire”, “seguire”, da cui il verbo latino sequor,“seguire”, e la parola signum, “segno, segnale”, da cui“significato” (cfr. saj). Fin dal tempo dei Greci il temasull’origine del linguaggio fu una materia molto controversa. Iloro più celebri pensatori, tra i quali cito Platone, Socrate,Aristotele, Democrito, Eraclito, Parmenide, Protagora, siconfrontarono a lungo sull’argomento. “È figlia del Caso[týkhē]”, diceva l’uno. "E Cratilo dice la verità", scrive Platone,"quando dice che le cose hanno i nomi da natura": ka ratýlosalēth l gei l g n phýsei t onómata einai toís prágmasi(Cratilo, 390 d). “L’uomo articola i suoni delle parole ispiratodal Destino Divino [theía moĩra]”, replicava un terzo. “No. Illinguaggio è nato per convenzione umana. Esso è unainvenzione cosciente dell’uomo, non è un “dono divino”, dicevaun quarto”. “I suoni sono segni di certi movimenti dell’anima[ ], se la parola fosse strettamente unita al suono tutti gliuomini dovrebbero parlare la medesima lingua”, ribatteva unquinto. “Poiché non è certo che esista un rapporto tra i nomi e isuoni”, diceva un sesto, “neppure è certo che si possa arrivare aconoscere l’essenza delle cose attraverso le parole”.Nei suoi Dialoghi Platone affronta la questione etimologicacome riassumo qui: “nel corso del tempo, egli afferma, i nomidelle cose, per ragioni eufoniche, sono stati talmente distorti etravisati, con l’aggiungervi o con il togliervi lettere, per cui daallora non è stato più possibile ricostruire il significatooriginario delle parole”.10

In nome della loro dialettica i Greci dissertarono per secolisull’origine del linguaggio e sul significato delle parole, ma leloro argomentazioni non riuscirono mai a svelare il segreto deinomi delle cose. E così i loro dubbi restarono irrisolti. Anche illatino Marco Terenzio Varrone, nel V libro del suo trattato Delingua latina, manifesta molti dubbi sull’origine delle parole.Tra le cause che ai suoi occhi resero obscuriora, “più oscura”,la loro origine, egli pose in primo piano soprattutto vetustas, laloro “antichità”. Dopo aver iniziato il suo discorso con: “Quaeideo sunt obscuriora, quod ” egli elenca tutte le cause di taleobscuritas ma, alla fine, come egli stesso conclude, essa non sidirada mai del tutto.A confermare l’obscuritas in cui vivevano i latini in merito alsignificato delle parole ci aiuta anche la consultazionedell’opera De significatione verborum di Sesto Pompeo Festo(un dizionario latino composto da circa 4.000 voci, dotato di unricco glossario), curata da Paolo Diacono. Da essa risultaevidente, a mio giudizio, il grave errore da lui compiutonell’aver trascurato l’importanza delle radici verbali latine,errore che non gli permise di scoprire l’origine della sua linguaperché proprio nei suoni di quelle radici, come vedremo, eracustodito l’antico significato delle parole latine. Allo scopo dimotivare la fondatezza di quanto suesposto, e al tempo stesso dichiarire il metodo da me seguito nel corso dei miei studietimologici, esamino ora le voci latine citate dal testo e legatead ak e aṅk, due tra le più antiche radici verbali indoeuropee esanscrite.Premetto che il latino usa la c (dura) al posto della k, e pertantotrascrive tali radici con ac-, anc-. E che il greco non accettafoneticamente la pronuncia del gruppo consonantico ṅk, per cuisostituisce la nasale gutturale ṅ con la gutturale g, e usa quindile forme verbali ak-, agk-. La prima di queste voci è acus “ago”(pag. 8). Egli ne accosta il senso al verbo latino sarcire (sarcio,ire) “rammendare”, “riparare” (in origine il significato dovetteessere “ricucire”, dato che sarcimen è “cucitura” e che sartor,oris “colui che cuce”, “sarto”, deriva dal participio sartus), e lolega anche ad akésasthai (akeĩsthai?), un antico termine greco11

che doveva riferirsi ad un “rimedio” usato per medicare leferite. Oltre ad acus, Festo cita (pag. 23) una serie di terminicon radice ac, quali: acies “punta”, “filo tagliente”; acumen“punta”, “acutezza”; acuere (acuo,-ere) “affilare”, “aguzzare”,e li collega al greco akónē “pietra per affilare”. Il rimproveroche mi sento ora di rivolgere a Festo è di non aver spiegato che iRomani, così come i Greci, distinguevano due tipi diversi diaghi, l’uno usato per cucire le scarpe e rammendare le stoffe ele pelli, e l’altro per suturare le ferite. (Nel suo libro DeMedicina, A. C. Celso, famoso medico latino, descrive infattiun tipo di ago chirurgico con cui si rimarginavano le feriteunendone i lembi con sottili fili di lino, o con capelli di donna).A questo riguardo, la trascuratezza manifestata da Festo nellasua analisi lessicale è provata dalla seguente comparazione ditermini greci strettamente legati alla radice ak/ac di acus:ak “punta”akís “punta”ak “rimedio”, “guarigione”ákos “rimedio”, “cura”ákesis “guarigione”akon“affilare”, “aguzzare” ak“guarire”, “curare”akéomai “curare”, “guarire”,“rimediare”panákeia “che guarisce[ak da ákos] tutto [pan]”,“panacea”akéstra “ago”ákesma “rimedio”akest s “rammendatore”akésimos “che guarisce”akéstria “donna che cuce”,akestós “curabile”“sarta”In tutti questi casi, la radice ak si riferisce ad un oggettoappuntito o al suo uso curativo.In altre parole, in greco, e questo Festo non lo dice, secondol’etimologia indoeuropea la radice ak significava “avere lapunta”, “essere appuntito”, e secondo l’arte medica significava“suturare una ferita con un ago”, da cui “curare”, “guarire”. Per12

cui ákos, in origine, significava “strumento appuntito cheguarisce le ferite”.Il secondo rimprovero che desidero muovere a Festo riguarda lasua analisi di alcuni termini latini con radice anc-, confrontaticon i corrispondenti termini greci con radice agk-, analisi cheegli però non approfondisce.Per chiarire il significato dei termini greci proposti da Festo, neestendo l’ambito semantico nello schema che segue:LatinoGrecoanculus,-i “che gira (anc-)per la casa”,“che aiutatutt’intorno”,“servitore”da cui:ancilla,-ae “fantesca”,“ancella”ancora “àncora”agk lēancus “braccio adunco chenon si può estendere”uncus “uncino”agkýlos “ricurvo”ágkistron “amo”, “uncino”agk n “piegatura del braccio”,“gomito”“curvatura delbraccio”, “gomito”ágkos “curvatura”, “valle”agkýlē “che si incurva”,“corda”ágkyra“àncora”Nella sua analisi comparativa, Festo accetta l’alternanza k/g, einclude nel testo anche la parola angulus (pag.10), facendoladerivare dal greco agkýlon.Qual è, in conclusione, la ragione dei rimproveri che mi sento dirivolgere alle sue analisi? È presto detto.Egli non riuscì a dedurre, come parrebbe logico fare osservandole suddette corrispondenze, che in un’antica lingua madre laconsonante k dovette significare “stare in cima”, “essere apunta”, “curvatura”. E a capire quindi che, nel partecipare allaformazione di un’azione verbale, la consonante k esprime untipo di moto “che tende verso la punta”, “che si incurva”, “che13

avvolge”. Un tipo di moto “che gira intorno”, simile, direi, aquello dei corpi celesti nello spazio (cfr. ak). In tal modo, unavolta che questa ipotesi sulla consonante k si fosse rivelatafondata, Festo avrebbe potuto estendere a tutti gli altri suonidell’alfabeto l’idea che ciascuno di essi potesse essere portatoredi uno specifico valore semantico. E avrebbe così potutoricercarne l’antico significato. Ma non lo fece.Intorno al 630 d.C., trascorsi alcuni secoli dall’ opera di Festo,Isidoro di Siviglia, un erudito ispano-romano appartenente aduna nobile famiglia episcopale, pubblicò un saggio in venti tomiintitolato Etymologiae sive origines, ovvero “Etimologie oOrigini”.Nella sua comunità religiosa, e nella società culturale del suotempo, i più illustri intellettuali erano convinti che i suoi studietimologici costituissero un insieme di straordinaria importanza.Per iniziare a capirne il livello di originalità poniamo ora aconfronto l’analisi di Festo sull’origine di alcune parole latineesposte a pag. XV, aventi radice anc-, con le proposteetimologiche avanzate da Isidoro in relazione alle stesse parole,o ad altre ad esse affini:FestoIsidoroancillaeNome costruito su anculus, daanculo,-are, che significa“servire”, “occuparsi di”, allostesso modo di ministro,-are.(Per cui ancilla è “serva”,“schiava”)ancillaeTermine che si ricollega allatinoancon“gomito”,“braccio”, in greco agk n, conriferimento all’appoggio daesso offerto,(IX, 4, 44 pag. 761, vol. 1)La radice indoeuropea di anculus, e quindi di ancilla, è ak(nella variante nasalizzata, aṅk-), il cui significato è “muoverein curva”, “curvare”. Infatti il termine latino ancon, “gomito”,citato da Isidoro, era così chiamato in quanto il braccio “sicurva”, facendo perno sul gomito. Ed è proprio in riferimento al14

“curvarsi”, o ad una “curvatura”, che “gomito” in latino è anchedetto cubitus, e che il greco, trasformando per ragioni fonetichela radice aṅk in agk, costruisce le parole agk n “gomito”,“braccio” e agkýlos “ricurvo”, “incurvato”. In altre paroleanculo,-are deriva dalla radice anc-, trascrizione latina di aṅk-,per cui il significato originario del verbo latino è “muoversiintorno a”, “muovere in cerchio”.Ma questa analisi etimologica Festo e Isidoro non avrebberopotuto compierla, perché essi non sapevano che inprotosanscrito la consonante k significava “moto curvilineo,avvolgente”, con riferimento al moto della volta celeste (cfr.ak).La stessa osservazione si può fare anche in merito alle analisicompiute da Festo e Isidoro sull’origine dei nomi latini ancus eàncora:FestoIsidoroancusÈ così chiamato chi ha unbraccio adunco che non si puòestendere (op. cit., pag. 10)ancoraCome si evince dall’etimogreco ágkyra, è un dente diferro che si “afferra” agliscogli o alla sabbia quasi fosseuna mano. In greco infattimano si dice kýra(XIX, 2, 15; pag. 540, vol. 2)Credo infatti che le suddette interpretazioni etimologiche sianoinadeguate.Per interpretare in modo corretto l’origine dei termini latiniancus e ancora è necessario risalire alla radice indoeuropea aṅke capire che il segreto di questa radice, come visto, è racchiusonel suono della consonante k, il cui significato era appunto“curvare”, “muovere curvando”.Il nome latino ancora “àncora”, (sempre da aṅk) in grecoágkyra, in indoeuropeo e in sanscrito è infatti aṅk-uśa. Ilriferimento di Isidoro a kýra, che egli ritiene significhi “mano”in greco, è sbagliato per due motivi. Il primo è che la k di15

ágkyra fa parte della radice agk, versione in greco di aṅk, in cuila velare g corrisponde alla nasale ṅ, e non è quindi l’iniziale diun ipotetico secondo elemento di un (ipotetico) composto ágkyra. In greco inoltre, mano si dice kheír, con iniziale kh (chi) enon k (kappa) perché il nome deriva dall’indoeuropeo hṛ [kh h; eir ṛ], che significa “prendere”, “afferrare”, a indicare lafunzione svolta dalla mano (cfr. hṛ).E ancora:FestoIsidoroangulusViene dal greco ἀgkýlos,“di forma curva”, “ricurvo”,angulusÈ così chiamato in quantocongiunge due pareti(XV, 8, 4; pag. 281, vol. 2)anguillaHa preso il nome dalla propriasomiglianzaconquelladell’anguis, ossia “serpente”(XII, 6, 41; pag. 71, vol. 2)Il termine angulus, con radice latina ang-, deriva anch’essodalla radice indoeuropea aṅk-. L’alternanza k/g non devesorprendere. I termini anguilla e anguis derivano invece dallaradice indoeuropea (e sanscrita) ag- (nella variante a nasaleinfissa, aṅg) che significa “muovere in modo tortuoso” (cfr. ag).Nello stesso campo semantico della radice greca agk,accettando l’alternanza indoeuropea h/k/g, Festo cita i terminilatini angor “tormento fisico o morale” e angina “malattia cheopprime il fisico”, dalla radice ang del verbo ango,-ere“stringere”, “soffocare”. Festo non riesce però a risalire allaoriginaria radice indoeuropea aṉh (vedi pag. 662) per cui le suericerche etimologiche risultano vaghe e incomplete.Per concludere, ecco una perla etimologica di Isidorosull’origine della parola latina ignarus:16

“Ignaro, non gnarus, id est sine naribus. Olfecisse enim veteresscisse dicebant”.Ecco la traduzione:“non gnarus, ossia “che non sa”, proviene da sine naribus,“senza narici” e ciò in quanto gli antichi usavano il verbo“fiutare” nel senso di “sapere” (?)”. Ogni commento sarebbeimpietoso e superfluo (cfr. la radice jñā, da cui ebbe origine laparola gnarus).D’altro canto, la grave trascuratezza dimostrata da Celso eIsidoro nei confronti dell’analisi dei suoni contenuti nelle radiciverbali, in quanto portatori di valori semantici, sarà poicondivisa da tutti gli studiosi di etimologia vissuti fino ad oggi,posto che anche il prof. Max Müller, insigne studioso di lingueindoeuropee (1823-1900), arrivò a dire che “a sound etymologyhas nothing to do with sound”, ovvero “una sana etimologia nonha nulla a che spartire con i suoni”.Il compito che mi assumo con questo Dizionario, in cui taleaffermazione di Müller è radicalmente confutata, è proprioquello di trovare l’originario significato indoeuropeo dei suonidella lingua madre del sanscrito, del greco e del latino. E dioffrire ai lettori, pur se ancora incompleto, il risultato di questamia ricerca. Questa opera, data la vastità della materia, non puòessere esente da difetti. Essi però non solo e non tanto sono perme ragione per scusarmene con il lettore, quanto un precisoimpegno di porvi in futuro un possibile rimedio.L’Autore17

INTRODUZIONE18

1.L’analisi comparativa di alcune radici verbali sanscrite, grechee latine, appartenenti alla stessa area semantica, ci indica lastrada da percorrere per risalire alla loro comune radiceindoeuropea:SanscritośruGrecoklyLatinocluIl significato originario di queste radici è “ascoltare”, “sentire”.Nel verbo sanscrito śru e in quello greco klý tale significatorimase. In greco, nel senso invece di “aver ascoltato”, e di “ciòche si sente nominare e vantare”, la radice si sviluppa in kl ,“celebrare”, “glorificare”, cui corrisponde il verbo latino clueo,ere “sentir parlare di”, “essere celebre” (dopo Seneca, clueo siattesta anche nella forma cluo, cfr. pag. 598). Quale comuneradice indoeuropea di śru, kly e clu, W-P propongono kleu, conk e non ś iniziale.Ora, se consideriamo che l, la consonante intermedia in kly eclu, è in sanscrito una tarda variante della r (essa è infattipresente solo nel periodo del sanscrito classico, come nellaradice kland, e non in quello più antico dei Veda, in cui laforma è krand (cfr. pag. 148), e che la ypsilon greca, in origineüpsilon, è la u indoeuropea, si deduce che tutte e tre le radiciterminavano in ru.In merito alla consonante iniziale della radice indoeuropea daricostruire, la proposta di W-P, kleu, suppone che la sibilantepalatale sanscrita ś sia la trasformazione della gutturaleindoeuropea k.A mio giudizio, però, le cose non possono essere andate così.Se confrontiamo infatti in quelle lingue le parole “dieci” e“cento” osserviamo:scr. daśa gr. déka lat. decem19

scr. śata gr. e-katón lat. centumSi noti che le parole daśa e śata erano già presenti nel Ṛg-Veda,testo che precede di alcuni millenni la letteratura omerica:RV X, 97, 7daśa kakṣya“dieci cerchi”RV I, 48, 7śataṃ rathebhiḥ“con cento carri”Ricordo qui che quando alcuni popoli Ariani invasero l’India,intorno alla metà del secondo millennio a.C., gran parte degliinni del Ṛg-Veda era già stata composta. A che epocaappartengono questi inni?Nel suo saggio “La dimora artica dei Veda” Tilak asserisce(pag. 325), secondo i suoi studi di astronomia, che essi furonocomposti nel periodo di Orione tra il 5000 e il 3000 a.C.,quando l’equinozio di primavera cadeva in questa costellazione.D’altro canto, allorché A. Meillet scrive in “Lineamenti distoria della lingua greca” (pag 12) “[ ] quando si affaccianoalla storia le lingue indoeuropee, in epoche che variano tra ilXVI o il XV secolo a.C.[.]” è al greco e al latino che egli fariferimento e non certo al sanscrito, che è una lingua molto piùantica e in cui la palatale ś era già presente in forma autonoma.Ci è nota, per di più, l’idiosincrasia fonetica del greco e in partedel latino nei confronti delle palatali indoeuropee (e sanscrite) c,j, ś. È da ritenere pertanto che sia stata la sibilante palatale ś atrasformarsi nella k greca e nella c latina, e non viceversa. Sipuò così ragionevolmente affermare che la radice originaria diśru, di kly e di clu sia stata śru e non kleu, come ipotizzato daW-P. Ciò è confermato dai miei studi etimologici, secondo iquali la radice indoeuropea śru fu composta da ś ru, che inorigine significava “stare vicino [ś] ad un rumore [ru]”, da cui20

“ascoltare”, in cui invece l’eventuale presenza di una k iniziale,come in kleu, snaturerebbe il senso del verbo.2.Le ragioni storiche ed etimologiche esposte qui sopra, in meritoalla trasformazione della sibilante palatale indoeuropea esanscrita ś nella k greca e nella c latina, sono ora valide ancheper dimostrare che fu la consonante palatale indoeuropea esanscrita j a dare origine alla gutturale greca e latina g, e nonviceversa.Si osservi la seguente corrispondenza:SanscritojanGrecogenLatinogenIl significato originario di queste radici, che concorsero aformare i verbi jan, janati, genn e geno, rispettivamente insanscrito, in greco e in latino, è “generare”. W-P le fannorisalire alla radice indoeuropea gen. In base alle ragioni cheseguono io ritengo invece che la radice originaria fosse jan.Si noti ora la presenza della radice jan nel Ṛg-Veda:RV, IV, 5, 5[ ] ajanatā [ ]“hanno generato”RV, X, 123, 7[ ] janata [ ]“si genera” (Ā)Queste testimonianze, data l’antichità del Ṛg-Veda, ci diconoche in greco e in latino la gutturale g, nata molti millenni dopola j indoeuropea (e sanscrita), era necessariamente una21

trascrizione di quest’ultima. Inoltre, poiché nelle più anticheradici verbali sanscrite, tutte di stretta origine indoeuropea, noncompare mai la vocale e (usata solo nei derivati verbali), masempre e solo la a, ci è facile dedurre che anche la e di gen èuna tarda trascrizione greco-latina della a indoeuropea. Quantosopra è confermato dai miei studi sull’origine delle radiciindoeuropee, secondo la seguente evoluzione della linguamadre:Prima fasej “moto dritto in avanti”a “avvio o compimentodell’azione”n “acqua”Seconda fasej “moto che fa avanzare”an “soffio animatore delleAcque”Si veda ora il punto che segue.3.Allorché i grammatici indoeuropei si prepararono a esprimerecon l’uso di particolari simboli fonetici il loro pensiero religiososulle credenze dei loro antenati in merito alle due piùimportanti facoltà delle Acque cosmiche, considerate divine[āpo devīr], ovvero di essere “portatrici del sem

DIZIONARIO pag. 101 Note introduttive pag. 103 Simboli fonetici e valori semantici del più antico alfabeto indoeuropeo Genesi, struttura e sviluppo della prima lingua Indoeuropea pag. 104 Radici indoeuropee e metodi ricostruttivi a confronto pag. 109 Alfabeto sanscrito pag. 111 Alfabeto greco pag. 113 Alfabeto latino pag. 114